IL TRIBUNALE

    Sulla  richiesta  del p.m. di convalida dell'arresto di Ungureanu
Mariana  Alias  Muraru  Gheorgita  Simona  e  Karakas  Patricia Alias
Stefanoi  Ivana  arrestate  a  Bologna  il  20  marzo  2004  ai sensi
dell'art. 14  comma  5-quinquies d.lgs. n. 286/1998 - come modificato
dalla  legge  n. 189/2002  - per la contravvenzione prevista e punita
dall'art. 14 comma 5-ter stessa legge;
    Premesso  che  l'arrestate sono state colpite da provvedimento di
espulsione dei Prefetti di Treviso e Bologna in date 15 maggio 2003 e
11  febbraio  2004  e  in  date  15  maggio 2003 e 11 febbraio 2004 i
questori  di  Treviso e Bologna di hanno ordinato di allontanarsi dal
territorio  dello  Stato  entro 5 giorni, ai sensi dell'art. 14 comma
5-bis d.lgs n. 286/1998 come modificato dalla legge n. 189/2002;
    Dato  atto che l'arrestate dotate di documenti di identificazione
validi,  sono  state  sottoposte  a rilievi dattiloscopici per la sua
identificazione, in base ai quali si e' accertato che esse sono prive
di precedenti penali significativi;
    Osservato che:
        il   decreto   legislativo   n. 286/1998   come  recentemente
modificato  dalla legge 189/2002 prevede l'espulsione dello straniero
che  sia entrato nel territorio dello stato sottraendosi ai controlli
di  frontiera  o  vi  si  sia  trattenuto senza permesso di soggiorno
valido (art. 13 comma 2 lett. a-b);
        l'espulsione  e'  disposta dal Prefetto ed e' sempre eseguita
dal  questore  con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza
pubblica  (art. 13  comma 4), salvo nei casi concernenti lo straniero
il cui permesso di soggiorno sia scaduto da piu' di sessanta giorni e
non  ne  sia  stato  chiesto  il  rinnovo,  per il quale l'espulsione
eseguita  mediante  accompagnamento  alla  frontiera viene sostituita
dall'intimazione a lasciare il territorio dello stato entro 15 giorni
(art. 13 comma 5);
        la  regola  fissata  dal  comma  4  dell'art. 13  puo' essere
derogata   quando   non   e'   possibile  eseguire  con  immediatezza
l'espulsione   mediante  accompagnamento  alla  frontiera  ovvero  il
respingimento, perche' occorre procedere al soccorso dello straniero,
accertamenti   supplementari   in   ordine   alla   sua  identita'  o
nazionalita',  ovvero  all'acquisizione  di documenti per il viaggio,
ovvero  per  l'indisponibilita' di vettore o altro mezzo di trasporto
idoneo (art. 14 comma 1);
        in  tal  caso  il  questore  dispone  che  lo  straniero  sia
trattenuto  per  il tempo strettamente necessario presso il centro di
permanenza temporanea e assistenza piu' vicino;
        come  rimedio  ulteriore  ed  estremo,  qualora non sia stato
possibile   trattenere   lo   straniero  nel  centro,  o  trattenerlo
ulteriormente  (essendo decorso il termine massimo di giorni 30+30 di
cui  al  comma  5 dell'art. 14), il questore ordina allo straniero di
lasciare  il  territorio  dello  stato  entro  5 giorni (art.14 comma
5-bis);
        orbene,  implicitamente  confermando che la clandestinita' in
se'  non  e'  reato,  ma  lo  e'  solo  l'inottemperanza  al relativo
provvedimento  di  espulsione,  il legislatore ha contemplato diverse
ipotesi   sanzionatorie   per  l'inosservanza  dei  diversi  tipi  di
espulsione;
        la  disobbedienza  che  si  realizzi  per  la prima volta, di
regola,  e'  un illecito contravvenzionale (l'eccezione e' costituita
dalla  trasgressione  all'espulsione disposta dal giudice a titolo di
sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione; art. 16 commi 1 e
5); le condotte sanzionate sono il rientro nel territorio dello Stato
senza  speciale  autorizzazione  del  Ministero dell'interno (art. 13
comma  13)  e  il  trattenimento  ingiustificato nel territorio dello
Stato  in  violazione  dell'ordine  impartito  dal  questore ai sensi
dell'art. 14  comma  5-bis;  per  entrambe le contravvenzioni la pena
prevista  e'  l'arresto  da sei mesi ad un anno ed e' previsto che si
proceda   a  nuova  espulsione  con  accompagnamento  alla  frontiera
(art. 13 comma 13 in fine e art. 14 comma 5-ter in fine);
        la  reiterazione  della  condotta disobbediente (ovverosia il
rientro   dello  straniero  gia'  denunciato  per  il  reato  di  cui
all'art. 13  comma  13  o  il rinvenimento nel territorio dello Stato
dello  straniero  espulso ai sensi dell'art. 14 comma 5-ter) realizza
un  delitto,  punito  con  la reclusione da 1 a 4 anni (art. 13 comma
13-bis in fine e art. 14 comma 5-quater);
        quanto  agli  aspetti processuali, gli art. 13 e 14 prevedono
per i reati in ciascuno di essi contemplati rispettivamente l'arresto
facoltativo  in  flagranza  (art. 13  comma 13-ter, per la violazione
dell'art. 13-bis  e'  consentito  anche  il  fermo  fuori dei casi di
flagranza)  e  l'arresto  obbligatorio  (art. 14 comma 5-quinquies) e
sempre il rito direttissimo;
    Ritenuto che:
        la  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 14
comma  5-quinquies  nella  parte  in  cui  prevede  come obbligatorio
l'arresto   per   il   reato   di  cui  al  comma  5-ter  appare  non
manifestamente infondata e rilevante e va sollevata d'ufficio, per le
ragioni  che  seguono, con riferimento ai parametri costituzionali di
cui all'art. 3 Cost.;
        i   reati  contravvenzionali  previsti  dagli  art. 13  e  14
rivestono  quanto  meno pari gravita'; infatti sono sanzionati con la
medesima  pena  edittale,  prevedono  identiche conseguenze sul piano
amministrativo (nuova espulsione con accompagnamentro alla frontiera)
e  penale  in  caso di reiterazione della condotta (lo straniero che,
dopo essere stato denunciato per la contravvenzione, viene nuovamente
colto  nel  territorio  dello Stato commette un delitto punito con la
reclusione da 1 a 4 anni);
        in  realta',  a ben vedere, la condotta descritta all'art. 14
comma  5-ter appare meno grave di quella di cui all'art. 13 comma 13;
in quest'ultimo caso lo straniero che, dopo essere stato accompagnato
coattivamente   alla   frontiera  a  mezzo  della  forza  pubblica  e
fisicamente  espulso  dal territorio dello Stato, vi rientra, pone in
essere  una  condotta  attiva  di trasgressione non solo ad un ordine
legalmente  dato  ma  anche ad attivita' che hanno impegnato lo Stato
con  risorse umane e materiali, e ha quindi mostrato un atteggiamento
volitivo  particolarmente forte; la condotta di cui all'art. 14 comma
5-ter  e'  invece  meramente  omissiva,  nel  senso  che lo straniero
«intimato»  si  limita  a  non adempiere l'ordine e a non presentarsi
alla frontiera nel termine indicato, atteggiamento che e' compatibile
anche con la semplice colpa;
        se  e'  dunque corretto ritenere che la contravvenzione di cm
all'art. 14  comma  5-ter  e'  di  gravita' pari o addirittura minore
rispetto  a  quella  di  cui  all'art. 13  comma  13 non vi e' alcuna
ragione  che giustifichi la previsione di un arresto obbligatorio nel
primo caso e facoltativo nel secondo;
        ma   v'e'  di  piu';  l'art. 13  comma  13-ter  prevede  come
facoltativo l'arresto anche in caso di commissione di uno dei delitti
previsti  dal  precedente  comma  13-bis;  e fra essi, oltre a quello
dello straniero che, gia' denunciato per la contravvenzione di cui al
comma   13  e  nuovamente  espulso  con  nuovo  accompagnamento  alla
frontiera,  sia  rientrato  nel  territorio  dello Stato, vi e' anche
quello  di  violazione  dell'espulsione disposta dal giudice; orbene,
tale  espulsione  ai  sensi  dell'art. 16  del  decreto  puo'  essere
disposta  con  la sentenza, come sanzione sostitutiva di condanna per
reato  non colposo ad una pena detentiva entro il limite di due anni,
e  quindi anche in relazione a soggetti che hanno dimostrato gia', in
concreto,  di  essere  pericolosi,  tenuto  conto  dell'entita' della
condanna  loro  inflitta;  non  vi  e' alcun dubbio che tali soggetti
debbano  essere  ritenuti  piu'  pericolosi  e il loro reingresso nel
territorio  dello Stato piu' allarmante del semplice permanere di uno
straniero  la  cui unica «colpa» e' quella di avere trasgredito ad un
ordine  del  questore  che gli intimava di uscire dallo Stato entro 5
giorni;
        sembra  pertanto indiscutibile che nel sistema degli artt. 13
e  14  il  legislatore  abbia trattato in maniera difforme situazioni
quanto   meno   uguali  (prevedendo  l'arresto  obbligatorio  per  la
contravvenzione  di  cui all'art. 14 comma 5-ter e quello facoltativo
per la contravvenzione di cui all'art. 13 comma 13) e in maniera piu'
grave reati di minore gravita' (la contravvenzione di cui all'art. 14
comma 5-ter rispetto ai delitti di cui all'art. 13 comma 13-bis);
        peraltro   l'arresto   obbligatorio  e'  istituto  riservato,
nell'attuale  ordinamento,  solo  ai  delitti  e  fra  essi  a quelli
particolarmente   gravi   indicati   nell'art. 380   c.p.p.;  nessuna
contravvenzione  prevede  l'arresto  obbligatorio  e solo una (art. 6
d.l.  n. 122/1993  convertito  in legge n. 205/1993) lo consente come
facolta';  anche  in  tale  ultima  ipotesi, inoltre, la condotta che
viene  sanzionata  in  via  preprocessuale con l'arresto in flagranza
appare  di  notevole  pericolosita'  sociale  (porto  nelle pubbliche
riunioni  di  armi  o  strumenti  atti ad offendere e porto di armi o
strumenti  atti  ad  offendere  per  ragioni di odio razziale, etnico
ecc.), in confronto alla condotta di chi contravviene all'obbligo del
questore di lasciare il territorio dello Stato entro 5 giorni;
        ne'  la  disparita'  di  trattamento  sembra  trovare  alcuna
giustificazione di natura processuale o di politica criminale;
        infatti  da  un  lato,  poiche'  nel  nostro  ordinamento  e'
consentito  procedere  nella  contumacia  dell'imputato,  non  appare
necessario  garantirne  fisicamente la presenza di fronte al giudice,
ne'  l'obbligatorieta'  dell'arresto  e' necessariamente collegata al
rito  processuale  adottabile (rito direttissimo), giacche' lo stesso
decreto   legislativo   n. 286/1998   prevede  il  rito  direttissimo
obbligatorio  anche  per  i  reati  di cui all'art. 13 commi 13-bis e
13-ter,  per  i quali - come detto - l'arresto e' facoltativo, in tal
modo  introducendo  una  deroga  al  generale  principio  secondo cui
l'adozione   del   rito   direttissimo   e'   generalmente  collegata
all'arresto  (peraltro  gia'  il comma 5 dell'art. 449 c.p.p. prevede
una  ipotesi diversa di rito direttissimo, collegato alla confessione
dell'imputato  e non all'avvenuto arresto; analogamente l'art. 12-bis
d.l.  8  giugno 1992 n. 302 stabilisce che per i reati concernenti le
armi  e  gli  esplosivi  il  pubblico  ministero  procede al giudizio
direttissimo  anche  fuori  dei  casi  previsti  dagli art. 449 e 558
c.p.p.);
        per   quanto   concerne  le  eventuali  ragioni  di  politica
criminale  perseguite  dal  legislatore,  va  rammentato che la ratio
della norma incriminatrice e' quella di sanzionare un soggetto che si
e'  sottratto  all'esecuzione volontaria di un ordine dell'autorita',
ordine  che  e'  stato  emanato  perche'  egli si trova bensi' in una
condizione soggettiva particolare (senza documenti di identificazione
e  dunque  non  passibile  di  espulsione coatta verso un determinato
Stato) ma in se' non illecita, non integrando alcuna ipotesi di reato
l'essere clandestino e non identificato; inoltre, scegliendo il reato
di   natura  contravvenzionale  (del  resto  conformemente  ad  altre
fattispecie  analoghe;  v. art. 650 c.p. e art. 2 legge n. 1423/1956)
lo stesso legislatore ha qualificato la condotta in termini di minore
gravita',  rendendo  anche impossibile l'adozione di qualunque misura
cautelare;  e'  ben  vero  che  nella  sfera  della  discrezionalita'
legislativa  rientrano  le  scelte  sulla  qualita' e quantita' delle
sanzioni e sui presupposti di applicabilita' delle misure cautelari e
precautelari, ma e' altrettanto vero che l'uso della discrezionalita'
legislativa puo' essere censurato sotto il profilo della legittimita'
costituzionale  nei  casi  in cui noti sia stato rispettato il limite
della  ragionevolezza  (cfr.  sentenze Corte cost. 26/1979, 103/1982,
409/1989,  341/1994;  secondo  Corte  cost.  53/1958 «non si compiono
valutazioni  di  natura  politica  e  nemmeno  si controlla l'uso del
potere  discrezionale del legislatore se si dichiara che il principio
dell'uguaglianza  e'  violato quando il legislatore assoggetta ad una
indiscriminata  disciplina  situazioni  che  esso  stesso considera e
dichiara diverse»);
        ne'   puo'   dubitarsi   che  il  principio  di  uguaglianza,
nonostante il riferimento letterale dell'art. 3 Cost. ai «cittadini»,
debba  ritenersi  esteso  anche  agli  stranieri, allorche' si tratti
della   tutela   dei   diritti  inviolabili  dell'uomo  (Corte  cost.
104/1969);
        nella  fattispecie  concreta la questione e' anche rilevante;
infatti  e'  stato  privato  della  liberta'  personale  a seguito di
arresto  obbligatorio,  a  prescindere  da  qualunque  valutazione di
pericolosita'   personale  (che  nella  fattispecie  non  sussisteva,
trattandosi  di  soggetto  privo  di  pregiudizi),  per la violazione
dell'art. 14 comma 5-ter e condono avanti al giudice per la convalida
dell'arresto e il giudizio direttissimo ai sensi dell'art. 558 c.p.p;
        la  circostanza  che  la  mancata  convalida dell'arresto del
prevenuto  nel  termine  previsto  dagli  art. 558 e 391 u.co. c.p.p.
determinera'  la  caducazione  della  misura, non puo' influire sulla
rilevanza   della   questione   di  legittimita',  come  puntualmente
osservato dalla Corte cost. con sentenza 54/1993 nella quale si legge
«il  provvedimento  di  liberazione  dell'arrestato era imposto dalla
disposizione  dell'art.  391 settimo comma ultima parte del codice di
rito ..., poiche' tale disposizione ricollega la perdita di efficacia
dell'arresto alla carenza, per qualsiasi ragione, di un provvedimento
positivo   di   convalida   nello   stesso   termine,  e'  ovvio  che
l'impossibilita'  di  rispettarlo  conseguente  all'elevazione  della
questione  comportava  (o  avrebbe  di  li'  a  poco  ineludibilmente
comportato)  l'intervento di tale autonoma causa di carenza di valido
titolo di detenzione, a prescindere dall'esaurimento del procedimento
di  convalida,  che  ...,  era  stato  contestualmente  sospeso. Tale
procedimento  non  puo'  percio'  ritenersi  esaurito,  ne' di esso i
giudici  si  sono  spogliati:  e  la  sua  persistenza  nonostante la
liberazione  trova  ragione  nell'interesse generale ad una pronuncia
sulla  legittimita'  dell'arresto,  che ha pur sempre determinato una
privazione  della  liberta'.  La  rilevanza  della questione, dunque,
permane,  trattandosi  di  stabilire se la liberazione dell'arrestata
debba considerarsi conseguente all'applicazione dell'art. 391 settimo
comma,  ovvero,  piu'  radicalmente,  alla  caducazione  con  effetto
retroattivo  della disposizione in base alla quale gli arresti furono
eseguiti».
    Sulla  base  delle  considerazioni fin qui svolte la questione di
legittimita',  costituzionale  dell'art. 14  comma 5-quinquies d.lgs.
n. 286/1998  come  modificato dalla legge n. 189/2002, nella parte in
cui  prevede  come  obbligatorio  l'arresto per il reato previsto dal
comma  5-ter,  in  relazione all'art. 3 della costituzione appare non
manifestamente infondata e rilevante.